Il decreto capienze è stato approvato in Senato con delle importanti modifiche rispetto al testo presentato in consiglio dei ministri.
Si tratta di un esito che va nella direzione che tutti noi speravamo, un esito per il quale ci eravamo impegnati a organizzare il Privacy Pride. Ma non è sufficiente.
Siamo soddisfatti? No, affatto.
La ferita per lo Stato di Diritto è ancora aperta e non ci sentiamo di condividere i toni trionfalistici dei senatori che sono intervenuti in commissione affari costituzionali per modificare l’articolo 9 del decreto.
Le modifiche, come è stato rilevato da alcuni giuristi che hanno riletto la nuova formulazione del decreto, potrebbero paradossalmente peggiorare il testo originario.
Tuttavia sono comunque riusciti a strappare al potere esecutivo la prerogativa di legiferare d’urgenza su una questione che tutto era tranne che urgente.
Non era facile ottenere di più, con i tempi stretti di un passaggio in commissione che, in un primo tempo, stava addirittura per essere negato accorpando l’approvazione del decreto capienze all’approvazione del decreto sulla certificazione verde COVID-19. Non era facile ottenere di più da parte di parlamentari appartenenti alla maggioranza di quello stesso governo che ha tentato il blitz, soprattutto pensando al fatto che questa battaglia parlamentare è stata fatta in trasparenza: portando diversi esperti in audizione presso la commissione parlamentare; dichiarando apertamente la propria strategia parlamentare; non intavolando con altre forze politiche di maggioranza e di opposizione con gli accordi sottobanco che hanno portato lo stesso governo a finire in minoranza durante l’approvazione di alcuni emendamenti allo stesso decreto.
Il risultato non è stato quindi affatto positivo, ma è anche vero che oggi abbiamo un’evidenza documentale di un tentativo del governo di ridurre i diritti individuali; abbiamo atti parlamentari del dibattito in commissione e di quello in aula che illustrano molto bene le dinamiche politiche attuali, con un Parlamento debole e un governo che in ragione della debolezza del Parlamento e del servilismo di tutta la stampa nazionale, capitalizza pericolosamente il proprio prestigio per aggirare o “alleggerire” quei contrappesi democratici che sono oggi la garanzia per il rispetto dello stato di diritto e domani la garanzia per la sussistenza dello Stato Sociale e dei diritti correlati.
Oggi abbiamo quindi avuto una buona notizia: esiste una componente trasversale alle diverse forze del Parlamento che può essere un valido interlocutore per le questioni che riguardano i diritti digitali e, soprattutto, il diritto alla privacy.
Ora che questa componente trasversale c’è, sarà importante capire quanto vuole pesare all’interno del Parlamento.
La cosa più importante è che fuori dal Parlamento si è appena creata una aggregazione della società che ha il dovere di impegnarsi per fare pressione non solo sui forum o sulle riviste di settore, ma soprattutto nelle piazze. Una pressione costante e continua. Essa avrà il compito, non facile, di spiegare e motivare le persone, rendendole così consapevoli dell’importanza di questa causa in tutte quelle componenti della società civile che oggi tendono a ignorarla: le associazioni, i movimenti, i professionisti in tutti gli ambiti, gli studenti e gli insegnati delle scuole e delle università.
Il decreto capienze, che ormai si sta trasformando in legge dello Stato, si potrà combattere ancora su diversi fronti; ma non sarà l’unica battaglia meritevole di essere combattuta: ce n’è ancora un’altra che riguarda le direttive e i regolamenti in fase di approvazione a Bruxelles, il primo in ordine di tempo l’estensione della deroga alla direttiva e-privacy, deroga con la quale i fornitori di messaggistica potranno iniziare a spiare la corrispondenza dei propri utenti. E ancora i regolamenti sull’intelligenza artificiale, le norme antiterrorismo, quelle sulla sorveglianza biometrica e tutto ciò che nel silenzio dell’informazione sta avvenendo in Europa sulla spinta degli stati nazionali, degli organismi sovranazionali e dei grandi monopolisti della tecnologia.
La strada del Privacy Pride è lastricata di pietre scomode ma dovremo imparare a conoscere per nome ciascuna di quelle pietre.